IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva ha pronunciato la seguente ordinanza per la rimessione di questione di legittimita' costituzionale. 1.1. - Pier Paolo Mariani ha chiamato in giudizio con ricorso del 14 aprile 1998 l'INPS ed ha esposto che egli, non essendo piu' in grado di lavorare come collaudatore meccanico dipendente a causa della grave malattia cronica di cui soffriva, aveva presentato domanda il 21 novembre 1995 per ottenere la pensione di inabilita'. La domanda era stata respinta dall'INPS. Egli aveva presentato ricorso amministrativo contro tale decisione. Nel frattempo, non essendo piu' nelle condizioni di lavorare a tempo pieno a causa della malattia, aveva chiesto alla impresa di cui era dipendente il tempo parziale e lo aveva ottenuto dal l settembre 1996, con una retribuzione inferiore a quella percepita fino ad allora. Il 6 dicembre 1996 l'INPS gli aveva comunicato che a seguito del ricorso gli era stato riconosciuto il diritto alla pensione di inabilita'. L'INPS gli aveva poi concesso e liquidato la pensione dal 1 marzo 1997. Nel ricorso e' stato esposto che l'INPS aveva determinato la pensione calcolando per il suo ammontare, tra l'altro, la retribuzione piu' bassa percepita dal settembre al 31 dicembre 1996 in relazione al lavoro prestato a tempo parziale. Per tale ragione la pensione era risultata inferiore a quella che si riteneva spettargli, se fossero stati calcolati diversamente gli elementi che concorrevano a determinarne l'importo. Il ricorso presentato contro la liquidazione della pensione non aveva avuto esito positivo. 1.2. - La difesa ha sviluppato argomentazioni e tesi volte ad ottenere l'accoglimento delle domande precisate, quali sono quelle delle conclusioni che si trascrivono: si chiede che il sig. pretore di Bologna con sua sentenza, previa eventualmente remissione alla Corte costituzionale della questione sopra riassunta, voglia: 1) dichiarare in contraddittorio con l'INPS che il ricorrente ha diritto alla concessione della pensione dal 1 dicembre 1995, e che il suo importo deve essere determinato sulla base dei contributi sino a quella data maturati, ovvero in subordine; 2) dichiarare che il calcolo della pensione, con decorrenza riconosciuta dal 1 marzo 1997, debba essere effettuato in ogni caso sulla base dei contibuti maturati a tutto il 31 agosto 1996; 3) condannare di conseguenza l'INPS, in persona del presidente pro-tempore, al pagamento in favore del ricorrente dei ratei di pensione dal 1 gennaio 1997 al 28 febbraio 1997, nonche' della differenza sui ratei di pensione maturata dal 1 marzo 1997 sino alla data della sentenza, nel loro importo risultante dalla dichiarazione di cui ai punti 1 e 2, e che sara' determinato eventualmente per il tramite di CTU contabile. 1.3. - La difesa ha sostenuto, tra l'altro, che le norme vigenti ed applicate dall'INPS per i calcoli eseguiti per la determinazione della pensione, con il computo della retribuzione piu' bassa percepita dal ricorrente nell'ultimo periodo di lavoro prestato a tempo parziale, per la gia' riconosciuta invalidita', contrastavano con il principio di razionalita' di cui all'art. 3 della Costituzione. La difesa ha richiamato come precedente a favore di tale tesi le sentenze della Corte costituzionale nn. 307/1989, 428/1992 e 264/1994 e le affermazioni di principio in esse contenute; ha formulato la eccezione nel modo che si trascrive di seguito: "in subordine, si chiede che il pretore adito voglia sollevare, in quanto non manifestamente infondata, questione di costituzionalita' della norma (art. 3, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e art. 1, comma 17, legge 8 agosto 1995, n. 335) nella parte in cui non prevede che, in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro con rapporto part-time, il calcolo della pensione non possa risultare inferiore a quello che deriverebbe dall'esclusione dell'ultimo periodo lavorato". 2.1. - L'INPS ha dedotto che era stato attribuito al Mariani l'assegno di invalidita' con decorrenza dalla domanda, dal 1 dicembre 1995, mentre gli era stato negato il diritto alla pensione di inabilita'. Successivamente l'INPS aveva accolto il ricorso presentato dal lavoratore contro il rigetto della domanda della pensione di inabilita', con delibera del 28 novembre 1996, con il riconoscimento che lo stato di inabilita' era presente il 1 dicembre 1995. L'assicurato aveva comunicato all'INPS nel gennaio del 1997 che avrebbe cessato il lavoro dal 1 marzo 1997. A seguito di tale comunicazione l'INPS aveva liquidato e corrisposto all'assicurato la pensione di inabilita', con decorrenza dal 1 marzo 1997. 2.2. - La difesa dell'INPS ha contestato che potesse essere accolta la domanda di "retrodatazione" del pagamento della pensione dal 1 gennaio 1997, poiche' era documentato che Mariani aveva proseguito il lavoro e percepito la retribuzione fino al 28 febbraio 1997. In ordine alle altre domande del ricorrente la difesa dell'INPS ha cosi' dedotto: "la decorrenza della pensione di inabilita' del sig. Mariani Pierpaolo puo' solo essere quella in cui si ritiene si sia costituito il diritto alla pensione di inabilita', ovvero: alla data di presentazione della domanda amministrativa, ovvero dal 1 dicembre 1995, se si ritiene che la cessazione di una qualsivoglia attivita' lavorativa non sia elemento costitutivo del diritto, ma mera condizione di erogabilita' della prestazione; dal primo del mese successivo alla cessazione dell'attivita' lavorativa, ovvero dal 1 marzo 1999, se si ritiene che la cessazione dell'attivita' lavorativa e' elemento costitutivo del diritto alla pensione, non condizione per la sua erogabilita'; ne consegue che l'accoglimento della prima ipotesi comporta la determinazione dell'importo della pensione computando i contributi versati fino al 30 novembre 1995, di contro accogliendo la seconda ipotesi andranno computati i contributi versati sino al 28 febbraio 1997: non e' data una terza ipotesi di decorrenza". La difesa dell'INPS ha anche aggiunto un'ulteriore considerazione: "C.2) neppure si contesta il fatto che facendo decorrere la pensione di inabilita' dal 1 dicembre 1995 l'importo mensile della stessa sia, alla data della sua erogabilita' 1 marzo 1997, di importo superiore a quello attualmente corrisposto attraverso la pensione numero 15.029.696, categoria IO". La difesa dell'INPS ha cosi' concluso: "1) dichiararsi che la cessazione dell'attivita' lavorativa e' il momento costitutivo del diritto alla pensione di inabilita' del sig. Mariani Pierpaolo; respingersi quindi la domanda di retrodatazione della decorrenza della pensione di inabilita'. In via subordinata: 2) nella denegata ipotesi che la domanda di retrodatazione sia accolta, dichiararsi che la sua decorrenza e' quella del 1 dicembre 1995 e la sua erogabilita' decorre dal primo del mese successivo alla data di cessazione dell'attivita' lavorativa, ovvero dal 1 marzo 1997; respingersi di conseguenza sia la richiesta di computo dei contributi versati a tutto il 31 agosto 1996; 2.a) respingersi la richiesta di condanna al pagamento dei ratei di pensione dal 1 gennaio 1997 al 28 febbraio 1997 avendo in quel periodo il sig. Mariani prestato attivita' lavorativa". 3. - Il difensore del ricorrente ha dichiarato di non insistere nella domanda per i ratei della pensione dal 1 gennaio al 28 febbraio 1997. 4. - Con sentenza non definitiva del 22 dicembre 1998 il pretore ha dichiarato che "il ricorrente ha diritto alla pensione di inabilita', domandata il 21 novembre 1995, dal 1 dicembre 1995 sussistendone all'epoca le condizioni di contribuzione ed i requisiti medico-legali, ed ha diritto alla corresponsione della pensione dal 1 marzo 1997, nella misura che sara' determinata nella prosecuzione del giudizio, cui si provvedera' con separata e riservata ordinanza". 5. - Nella prosecuzione del processo il difensore dell'INPS ha prospettato che esisteva la possibilita' che l'istituto liquidasse la pensione riconosciuta al Mariani con un criterio diverso rispetto a quello di considerare "una maggiorazione contributiva pari al 50% delle settimane intercorrenti tra la decorrenza della pensione di inabilita' e il compimento dell'eta' pensionabile", quale previsto dalla legge in caso di cessazione del rapporto di lavoro con un orario a tempo parziale. Poiche' tale indicazione non si e' realizzata di fatto si e' proceduto alla ulteriore discussione della controversia. Motivi della decisione La rilevanza della questione 6. - Il giudice ritiene di non poter pronunciare la sentenza definitiva sull'ammontare della pensione di inabilita' spettante al ricorrente, prima e senza che sia decisa la eccezione di legittimita' delle norme che disciplinano la materia e che devono essere applicate nel caso e senza che sia eseguito un accertamento contabile, dopo la decisione della Corte. La questione - nei termini di cui si dira' - e' rilevante pregiudizialmente per la pronuncia della sentenza. E' stato accertato e deciso che il ricorrente aveva alla data di presentazione della domanda i requisiti di contribuzione e personali per il diritto alla pensione; che egli cesso' di lavorare e di guadagnare il 28 febbraio 1997. La pensione poteva essergli liquidata e corrisposta solo dal 1 marzo 1997. 6.2. - Non risulta che sia prevista dalla legge la possibilita' per il ricorrente di rinunciare in tutto o in parte al calcolo delle retribuzioni percepite per il lavoro a tempo parziale prestato dal 1 settembre 1996 al 28 febbraio 1997, ai fini della determinazione della pensione, in quanto cio' sarebbe piu' vantaggioso per lui. Tale ipotesi non e' stata presa in considerazione nel corso di questo processo dall'1NPS, la cui difesa ha ammesso espressamente che il computo della retribuzione pensionabile e del periodo a tempo parziale sono stati sicuramente svantaggiosi per l'assicurato. 6.3. - In base a questi dati di fatto il giudice, allo stato, dovrebbe respingere la domanda. Da cio' la rilevanza della questione. Il fondamento della eccezione 7.1. - La pensione di inabilita' e' prevista e regolata dalla legge 12 giugno 1984 n. 222 (Revisione della disciplina della invalidita' pensionabile); i criteri per il riconoscimento del diritto e per la erogazione al soggetto inabile della pensione sono nei primi due commi dell'art. 2 della legge. Esiste tuttora, per quanto consta al giudice, una divergenza tra la interpretazione data dalla giurisprudenza alle disposizioni sulla fattispecie a formazione progressiva che conduce al riconoscimento del diritto alla pensione e alla sua erogazione, quale e' stata ricordata ed applicata nella sentenza non definitiva pronunciata in questo processo, e quella di cui alle direttive e alle prassi applicative dell'INPS, di cui anche la prosecuzione del processo e' concreta dimostrazione. 7.2. - L'art. 2, terzo comma della legge ha fissato i criteri per la determinazione ed il calcolo della pensione di inabilita': "3. La pensione di inabilita', reversibile ai superstiti, e' costituita dall'importo dell'assegno di invalidita', non integrato ai sensi del terzo comma del precedente articolo, calcolato secondo le norme in vigore nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ovvero nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, e da una maggiorazione determinata in base ai seguenti criteri: a) per l'iscritto nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, la maggiorazione e' pari alla differenza tra l'assegno di invalidita' e quello che gli sarebbe spettato sulla base della retribuzione pensionabile, considerata per il calcolo dell'assegno medesimo con una anzianita' contributiva aumentata di un periodo pari a quello compreso tra la data di decorrenza della pensione di inabilita' e la data di compimento dell'eta' pensionabile. In ogni caso, non puo' essere computata una anzianita' contributiva superiore a 40 anni". Tali criteri sono stati parzialmente modificati dall'art. 1, commi 15 e 17 della legge 8 agosto 1995 n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio). 8.1. - Come si rileva dalle norme l'ammontare della pensione di inabilita' e' formato da due parti. La prima e' l'importo dell'assegno di invalidita'. La seconda parte e' costituita dalla maggiorazione, (cioe' dalla somma che si aggiunge all'importo dell'assegno di invalidita'), che e' formata dalla differenza tra l'ammontare dell'assegno di invalidita' riferibile al caso e il diverso e maggiore importo dell'assegno che deve essere calcolato secondo il criterio di attribuire e conteggiare a favore del soggetto inabile una fittizia anzianita' contributiva rapportata al periodo di tempo che va dalla data di decorrenza della pensione di inabilita' alla data in cui egli raggiungerebbe l'eta' pensionabile di 60 anni. 8.2. - Sui criteri dettati dalle norme per la determinazione di tale maggiorazione contributiva convenzionale, da utilizzare per il computo della maggiorazione economica che costituisce la seconda componente della pensione di inabilita', sorgono problemi di interpretazione, che vengono risolti con la ordinaria esegesi e decisi dal giudice, ma anche la questione di legittimita' costituzionale che e' stata eccepita e che si intende proporre. 9. - Secondo la interpretazione data in questo processo con la sentenza non definitiva, il diritto alla pensione di inabilita' sorge quando sussistono le condizioni di inidoneita' al lavoro e i presupposti della contribuzione. Nel caso tutte le condizioni esistevano al momento della domanda, e hanno fatto riconoscere il diritto alla pensione dal 1 dicembre 1995. E' una conseguenza di tale decisione che il periodo della maggiore anzianita' contributiva debba essere calcolato dalla data in cui e' sorto il diritto alla pensione. Su tali aspetti non v'e' problema di legittimita' delle norme; la decisione e' contenuta nella sentenza. 10.1. - La questione di legittimita' costituzionale nasce invece, e non appare al giudice risolvibile con una interpretazione di adeguazione alla Costituzione, sulle norme che regolano il computo della maggiorazione convenzionale, cioe' della seconda parte della pensione di inabilita'; cio' e' dimostrato anche dal comportamento dell'INPS nella seconda fase del processo. Non e' controverso che la determinazione e la liquidazione della pensione e la corresponsione di essa al lavoratore inabile puo' essere fatta anche in un tempo successivo al nascere del diritto alla pensione, in quanto la concessione, la liquidazione ed il pagamento sono collegati alla cessazione effettiva del lavoro dell'assicurato e alla mancanza di ogni retribuzione, secondo quanto e' disposto dall'art. 2, comma 2 della legge. 10.2. - Per individuare quale debba essere la "retribuzione pensionabile" di cui all'art. 2, comma 3, lett. a) della legge n. 222/1984 vengono in applicazione le modifiche introdotte dal d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 (Norme per il riordinamento del sistemta previdenziale dei lavoratori) privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992 n. 421), e quelle dell'art. 1, commi 15 e 17 della legge 8 agosto 1995 n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare). Poiche' il ricorrente aveva proseguito a lavorare a tempo parziale dal 1 settembre 1996 ed aveva percepito la relativa retribuzione fino al 28 febbraio 1997, nel calcolo eseguito per la determinazione della pensione vennero calcolate tali retribuzioni. Il fatto che nell'ultimo periodo di lavoro questo fosse stato prestato a tempo parziale ha richiamato la applicazione di quanto disposto dall'art. 5, undicesimo comma del d.-l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito nella legge 19 dicembre 1984 n. 863, che cosi' dispone a proposito della determinazione del trattamento di pensione: "nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianita' relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all'orario effettivamente svolto l'anzianita' inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale. La predetta disposizione trova applicazione con riferimento ai periodi di lavoro successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Come si e' gia' detto, come risulta e come e' stato riconosciuto dalla difesa del convenuto, l'INPS, dando applicazione alla norma da ultimo riportata, ha calcolato la anzianita' contributiva fittizia del soggetto inidoneo, che concorre a formarne la pensione di inabilita', nella misura del "50% delle settimane intercorrenti tra la decorrenza della pensione di inabilita' e il compimento dell'eta' pensionabile". La applicazione della norma rispecchia l'orientamento dell'INPS, quale risulta, ad esempio, negli "Atti ufficiali", dicembre 1991, pag. 39. Nella risposta al quesito sui "criteri di determinazione della maggiorazione convenzionale dell'anzianita' contributiva per il periodo fra la data di decorrenza della pensione e la data di compimento dell'eta' pensionabile, nei confronti di assicurati con contratto di lavoro a tempo parziale" con riferimento alla ipotesi di "rapporto di lavoro trasformato da rapporto a tempo pieno a rapporto a tempo parziale e cessato come tale alla data del pensionamento" e' stato deciso che "l'anzianita' contributiva convenzionale deve essere determinata in misura contratta ed il numero delle settimane da accreditare convenzionalmente deve essere calcolato sulla base delle ore a tempo parziale lavorate nel corso dell'ultimo anno". Tale parere interpreta alla lettera la disposizione dell'art. 5. 11.1. - Individuate nelle linee essenziali i criteri e le norme applicate dall'INPS per la determinazione della pensione del ricorrente se ne possono trarre alcune considerazioni, che sorreggono la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimita'. 11.2. - La prima e' che la richiesta di lavorare a tempo parziale fatta dal ricorrente, dopo piu' di sei mesi che aveva presentato la domanda per la pensione di inabilita', per poter provvedere alle esigenze di vita con quel lavoro che poteva prestare, nonostante le sue condizioni di salute, in attesa della decisione e della liquidazione, ha pregiudicato in maniera sensibile l'ammontare della pensione, e percio' stesso anche le sue condizioni di vita per il futuro. Cio' e' dipeso dalla applicazione data alle disposizioni dell'art. 5, undicesimo comma della legge 18 dicembre 1984 n. 863 sul lavoro a tempo parziale, ai calcoli previsti per la determinazione della pensione di inabilita'. 11.3. - L'applicazione delle norme citate nel caso concreto ne mostra con sufficiente chiarezza gli effetti negativi che ne sono derivati per la vita dell'assicurato divenuto inabile e gli aspetti istituzionali che fanno dubitare della legittimita' della normativa applicata. Sotto il primo profilo vi e' stato il sostanziale depauperamento della pensione di invalidita', cui il lavoratore aveva diritto fin dall'epoca della domanda. Il lavoratore e' stato costretto a proseguire il lavoro e a chiederlo a tempo parziale, per le sue condizioni di salute, dopo il ritardo dell'INPS nel provvedere e l'illegittimo rifiuto di riconoscere il suo diritto, per poter contare su un reddito sufficiente alle esigenze di vita. 11.4. - Sotto l'aspetto istituzionale la combinazione delle norme applicabili ed applicate nel caso mette in risalto la violazione delle norme dell'art. 38 della Costituzione, con riferimento particolare al principio di adeguatezza della tutela dovuta al lavoratore divenuto totalmente inabile al lavoro di cui al secondo comma, ed anche al principio di ragionevolezza normativa, che si trae dall'art. 3 della Costituzione. Appare paradossale nel caso che il comportamento di ritardo e di inadempienza dell'INPS nel provvedere al riconoscimento e alla erogazione della pensione di inabilita' dovuta al lavoratore abbia condotto al depauperamento del lavoratore, con una sostanziale diminuzione dell'ammontare della pensione, in dipendenza della applicazione della norma che riguarda le conseguenze sul trattamento pensionistico del lavoro prestato a tempo parziale. 12. - La Corte costituzionale ha avuto modo di esaminare recentemente, con la sentenza n. 202 del 24 maggio 1999 la norma dell'art. 5, undicesimo comma del d.-l. 30 ottobre 1984 n. 726 con riferimento ad una diversa contestazione di legittimita'. Nella decisione la Corte costituzionale ha affermato che l'intento del legislatore di favorire il lavoro a tempo parziale, per incrementare l'occupazione ed anche di andare incontro alle esigenze di coloro che per ragioni personali ricorrono a tale rapporto con orario piu' breve, non puo' andare a discapito di tali lavoratori, per quanto attiene l'aspetto previdenziale, sotto il profilo della razionalita' normativa. Tali considerazioni potrebbero applicarsi alla ipotesi in cui la norma incide "contemporaneamente e correlativamente ... sul computo dell'anzianita' assicurativa ... e sul calcolo della retribuzione pensionabile", senza consentire al lavoratore di optare o di usufruire della "neutralizzazione" degli effetti, per lui solo e pesantemente negativi, del lavoro prestato a tempo parziale, sulla pensione di inabilita' di cui aveva chiesto fondatamente il riconoscimento e di cui ricorrevano le condizioni. Concorrono a far ritenere plausibile l'ipotesi prospettata anche gli orientamenti espressi dalla Corte costituzionale nei casi citati dalla difesa. Per queste ragioni la questione viene proposta e rimessa alla valutazione della Corte costituzionale.